Robert Rauschenberg – Airport, Room Service, rilievo e intaglio su tessuto con cravatta

In anteprima al Castello di Belgioioso alcune opere della mostra “American Dream” che si terrà dal 29 ottobre al 16 marzo alla Galleria Agnellini di Brescia.

“L’anteprima ci mostra, in un parallelo tra le mitiche moto Harley Davidson e Indian, e le opere di artisti come Warhol, Rauschenberg, Sam Francis, Robert Indiana…. il rapporto sottile che esiste tra l’industria e l’arte in quegli anni di totale euforia”

L’America del dopoguerra ha prodotto un modello di società che negli anni a seguire si è imposto al mondo. Dal 1945 al 1960 l’egemonia politica, economica e culturale degli Stati Uniti si è costruita sull’estromissione dell’Europa indebolita dalla guerra. Questo periodo consacra l’idea di progresso e di avanzata tecnologica al rango di dogma che si applica tanto all’industria quanto all’economia e alla cultura.
L’esposizione, attraverso opere significative di artisti espressionisti o pop che animarono la scena americana degli anni ’60, illustra lo spirito di entusiasmo e di libertà che s’impose nel paese in quegli anni in cui l’arte, l’industria e l’economia parteciparono a uno slancio creativo che sconvolse le abitudini di vita. La meccanizzazione produceva già da lungo tempo oggetti di desiderio che l’arte, grazie alla Pop art, trasformò in icone moderne, rappresentazioni spesso moltiplicate di simboli di una civiltà potente e dominatrice. Gli Stati Uniti, in uno stesso slancio, seppero altrettanto bene esportare il loro modello di società e imporre un’arte che ne era il principale sostegno

Il mito americano si è costruito sulla produzione di oggetti che hanno cambiato la quotidianità degli individui apportando profonde modificazioni nella vita di ognuno. La meccanizzazione ha trasformato le realtà più comuni, radicandosi profondamente in una prassi che penetra e trasforma l’animo umano. La velocità d’esecuzione dei compiti è divenuta uno standard illustrato dallo sviluppo dell’elettrodomestico, dell’automobile e molto altro. Questi oggetti tanto ambiti, la cui realizzazione arriva a livelli di precisione e di eleganza, raggiungono il Pantheon di una mitologia contemporanea al pari delle opere d’arte. Moto, automobili, aerei sono le «sculture» dei tempi moderni, ideali di perfezione, oggetti di desiderio, magnifici nella loro struttura e nella loro concezione.

Insieme alle automobili nascono le prime moto. Le Indian s’imposero per prime, nel 1899. In mostra alcuni modeli del 1922, 1928, 1935… illustrano l’innovazione di moto diventate leggende e che restano tra gli oggetti mitici di quest’epoca in cui l’invenzione impone i propri sogni. L’aspetto trionfante dell’America che vince è illustrato dall’epopea Harley Davidson. La marca Harley, adottata da attori di culto come Marlon Brando, è un simbolo degli Stati Uniti: Harley Davidson, del resto, è tra le dieci marche americane più conosciute al mondo insieme a Coca-Cola e Disney. La mostra propone moto del 1922, 1928, 1935, 1941fino al 1970.

La storia delle Harley appartiene alla leggenda americana che raggiunge il suo apogeo negli anni ’60 con un film come Easy Rider, realizzato da Dennis Hopper nel 1969.
Il film è nel repertorio del National Film Registry dal 1998, per il suo apporto significativo al cinema americano e alla cultura americana. Simbolo della gioventù e del rifiuto dei pregiudizi, Dennis Hopper incarna un cinema libertario, al limite della rottura. Con Easy Rider, road movie nichilista e metafisico dalla colonna sonora esplosiva, si crea un nuovo ordine del mondo nel quale gli artisti riconquistano il reale.

Questo spririto definisce perfettamente la generazione americana del dopoguerra il cui atteggiamento disinvolto, sperimentale e conquistatore trova la sua rappresentazione nel mondo dell’arte che si apre a tutte le possibilità. La ridefinizione dell’arte, integrando la provocazione come mezzo d’azione, così come l’ironia e la libertà, elementi che appartengono anche al comportamento dada  al quale si riferiscono artisti come Rauschenberg, s’impone in un mondo che si reinventa. L’espressionismo astratto- rappresentato nell’esposizione da Franz Kline, Mark Tobey, Sam Francis, il cui lavoro oscilla tra astrazione e figurazione – rivendica questa libertà e inventa nuove tecniche, mescolando influenze diverse come il surrealismo (subconscio, scrittura automatica, dripping), l’astrazione di Wassily Kandinsky e di Arshile Gorky e l’insegnamento di Hans Hofmann. In mostra opere di questi artisti magiori dell’astrazione americana del dopo guerra che rimangono legati all’influenza europea pur rivendicando una propria storia.

La pop art rimette fondamentalmente in questione i criteri che fino ad allora avevano caratterizzato «l’opera d’arte», inducendo una riflessione sull’oggetto artistico e ponendolo in una dialettica sociologica, desacralizzando l’immagine dipinta o la scultura per conferir loro una dimensione di oggetto comunicante (allo stesso titolo della pubblicità), o banalizzandole proiettandole nella sfera dell’oggetto industriale multiplo proprio al consumo di massa. Più che da uno stile, l’arte pop discende da uno stato d’animo che consiste nel rendere conto della realtà della società moderna, mediatizzata, basata sul messaggio istantaneo che s’impone come riferimento assoluto. In quanto l’opera diventa multipla, sembra ormai entrare nella logica di una modernità contestata in modo cinico da una artista come Andy Wharol (presente in mostra), illustrata in modo “umanista” da Robert Indiana che moltiplica i messaggi d’amore e di pace ovunque nel mondo.

Andy Warhol – Shoes, Serigrafia e polvere diamantata su carta

“Tra moda e arte vi è sempre stata una sorta attrazione fatale, entrambi stimolatori di un modo di essere, corporale ed emotivo, quanto intellettuale e visuale, si intrecciano inevitabilmente, la moda attratta da una creatività artistica proiettata sempre verso il nuovo e l’arte interessata alla diffusione mediatica e di massa che il linguaggio della “seconda pelle”, il vestito, si porta con sè ed è comprensibile in senso globale”
Germano Celant