Ferite ma vincenti

20 scatti di donne provate da un tumore al seno che si sono volutamente spogliate per mostrare senza timore la cicatrice causata dall’intervento chirurgico.

In questo modo l’associazione Yac Italia, che rappresenta a livello nazionale le donne affette da tumore al seno, ed in particolare quelle colpite in età giovanile e/o con familiarità, rende visibile la necessità di una maggiore sensibilità verso la prevenzione in quanto “Le nostre giovani donne presentano necessità, problematiche e situazioni cliniche differenti da chi contrae il tumore al seno in età tradizionale. L’obiettivo di Yac Italia è quello di sostenere la ricerca scientifica e di creare delle linee guida per un sano e corretto stile di vita, anche nel decorso della malattia e durante le terapie e le cure; ciò significa intervenire in tre ambiti fondamentali ovvero l’alimentazione, l’attività sportiva ed il benessere psicologico-mentale

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Lo scandalo del femminino

di Molina Angela Francesca, medico – psicoterapeuta – analista adleriano

La mostra fotografica YAC ITALIA, già allocata nella cornice di Santa Maria Gualtieri in Pavia nel marzo 2014, ha suscitato scalpore. Il commento/accusa era riferito alla tematica “forte”.
Effettivamente si tratta di fotografie che ritraggono pazienti affette da cancro al seno ma l’abitudine che abbiamo all’uso ed abuso del corpo femminile, nudo o vestito, in tutti gli ambiti, rende di per sé incomprensibile il commento.
Mattia Calvo, il fotografo autore della mostra, non ancora trentenne, proviene da studi filosofici e ha definito in quel contesto la propria macchina fotografica un “prolungamento di sé “.

Con queste informazioni mi accingo a guardare in solitaria la mostra.

Bianco e nero, capace di investire in dinamismo un tempo apparentemente fermo. Le immagini ritraggono donne ancora giovani ma vissute di lavoro, di relazioni, di parti. Fantastico sullo sguardo del giovane uomo che le ha ritratte, lo penso indugiare sui volti e furtivo, quasi imbarazzato, sui seni feriti. L’ occhio di un uomo nella mente di chi ancora è figlio.

E allora, quasi per magia, come accade nella stanza d’analisi, quando, affondando nell’inconscio
dell’altro, ti imbatti improvvisamente nella parte più arcaica, filogenetica, che ti ferma il respiro, mi compaiono immagini e pensieri. Mi paiono moderne Madonne medioevali che svelano l’antica Dea. Connubio di vita e morte come è la vita stessa per la donna, abituata da subito al sangue periodico fautore di vita, all’associare amore,affettività, paura, a durezza, dolore, rabbia. Rammento che ce ne vuole di rabbia per mettere al mondo un figlio; battaglia di corpi, nati uno nell’altra e poi, per improvvisa decisione dell’ordine naturale delle cose, costretti a respingersi per potersi reincontrare.

Ecco cosa trasmettono queste immagini: il femminino ancestrale, che non può sentirsi singolo ma appartenente al tutto.
E avverto questa sensazione che si combina con le medesime pazienti in stanza d’analisi quando, andate oltre il timore della devastazione del corpo, il timore della morte per sé, giungono al più profondo “ ho figli piccoli, non posso morire, non ora “ che ti fa comprendere che il nucleo arcaico del femminino è ancora vivo: fare la propria parte per il futuro degli altri mettendo insieme paura e coraggio.

La distanza tra il maschile occhio – obiettivo e l’immagine femminile è la distanza rispettosa tra il giovane uomo, forse ancora non conscio del potere familiare, sociale, politico ed evolutivo della coppia, e l’imago del femminino. Attrazione e timore, forza e fragilità, accudimento e spinta all’autonomia.

Ecco lo scandalo: il femminile attrattivo e la malattia che lo pervade, la potenza del femminino che mille volte ferito ( e di femminicidio questo Paese se ne intende ) ancora investe in passione edempatia per risollevarsi dopo ogni volta.
Vederle è vedere dei volti e dei corpi. Guardarle è osservare la determinazione, la resistenza, la tranquilla caparbietà della vita.

Sono nate sotto il segno del coraggio.